Il post di seguito non è mio e fa riferimento all'argomento di ieri. Da leggere con attenzione.
L'obiettivo del blogger: non appesantire il lettore. Per onorare questo must e per ringraziare al.ba. di ospitarmi sul suo nuovo deck dal quale osserva il mondo con la tastiera, proverò a trasmettere le mie sensazioni sul meeting di 11 giorni a Copenhagen. Difficile rimanere fuori da questo tema perché' c'è di mezzo la natura, la qualità della vita, la durata di quelle a venire, la sostenibilità dello sviluppo di ogni paese, città, quartiere e famiglia.
L'obiettivo di Copenhagen è di mettere basi per un nuovo e necessario accordo a sostituire quello di Kyoto nel 2012 e che determinerà nuovi standards per le emissioni. In breve, le questioni e le determinanti di un convegno del genere.
1. Fattibilità di un nuovo documento? - coerenti con i tempi stretti e la densità di appuntamenti e contrasti finanziari sulle proposte dei singoli paesi o dei gruppi come BRIC (Brasile, India e Cina), grazie a Copenhagen oggi esistono 9 pagine di bozza per un testo che andrà sviluppato in più appuntamenti nel 2010 e che si può comodamente seguire dal sito dele Nazioni Unite.
2. Compromessi nazionali - seppure Kyoto abbia stabilito quali paesi siano in sviluppo e quali no e ad ogni gruppo avesse assegnato un parametro di emissioni da rispettare, oggi molti paesi possono vantare livelli di emissioni più basse del previsto. Altri non dovrebbero fiatare per non peggiorare la loro situazione. Ma è qui che sorgono i maggiori contrasti: come rilevare le emissioni dei paesi in via di sviluppo e chi sta rispettando le promesse fatte firmando Kyoto? Esempio: Norvegia, UE e Giappone si sono promessi di ridurre tra 20 e 40% le emissioni secondo gli standard del 1990 entro il 2020 mentre gli Stati Uniti hanno ridotto del 17% le emissioni sui livelli del 2005 che equivale allla riduzione del 3% sui livelli del 1990. Per quanto pieno di foreste, pura neve, laghi e muschio, il Canada da solo supera di 34% gli obiettivi Kyoto. Sorpresi? Si potrebbero fare molti altri esempi ma ogni paese, bisogna ammettere, si sta notevolemente rivolgendo alla questione climatica. Sia per una questione di business sia per l'imminente urgenza di mettere mano ad un equilibrio ecologico delicatissimo e danneggiato.
3. Quanto costa tutto questo parlare? - Per ogni paese in via di sviluppo, il costo per alimentare le nuove tecnologie ecologiche varia dai 15 ai 30 miliardi di Euro annui. Sta al settore privato innovare, aprire le barriere allo scambio di tecnologie e sostenere lo sviluppo industriale in sintonia con l'ambiente e ai governi il compito di tagliare con del sale in zucca e distribuire coscenziosamente il denaro.
Giovani e non, hanno preso parte agli eventi ogni parte della società e - se non altro - si può parlare di momento storico al quale vogliamo partecipare. I capi di stato e di governo che da ieri (15 Dic) sono arrivati a Copenhagen per le pacche sulle spalle, per tirare le somme, tirarsi le orecchie e allertarsi a vicenda, sanno che responsabilità hanno. Purtroppo i meandri di certa industria (carbone, petrolio, deforestazione, smaltimento di rifiuti e scorie, ecc) conoscono i punti deboli dei consumatori, abbassano il fondo delle loro pance spesso lavorando indipendentemente dal colore della bandiera di un governo e sono suscettibili solo ai più duri confini della legge, se e quando li vedono.
Copenhagen, a detta di certi, è stato per ora un successo relativo. Altri hanno usato toni meno dolci e altri ancora lo hanno trovato un momento illuminante. Io lo trovo stimolante. Non sono a capo di un governo tantomeno un ricercatore biologo dal guizzo d'ingegno, ma posso fare la mia parte e usare le notizie per impressionarmi, studiare e rieducare i miei consumi: da qualche tempo prima di accendere un interruttore mi sussurro "e Copenhagen?".
tol.ler